Gran bel “Don Giovanni” al Macerata Opera Festival 2020


di Alberto Pellegrino

1 Ago 2020 - Commenti classica, Musica classica

“Un taxi giallo traghetta Don Giovanni nell’aldilà”. Una delle regie più belle arrivate allo Sferisterio di Macerata negli ultimi anni quella di Davide Livermore per il Don Giovanni di Mozart.

Macerata Opera Festival 2020 ha fatto una scelta coraggiosa nel proporre il Don Giovanni di Mozart in forma scenica completa, adattando l’allestimento, pensato per il Festival Les Chorégies d’Orange, agli spazi dello Sferisterio secondo il progetto registico di Davide Livermore che si avvale una scenografia  che sfrutta uno spettacolare e tecnologico sistema di proiezioni e che si è rivelato perfettamente in linea con la direzione del M° Francesco Lanzillotta, il quale ha messo a punto un’orchestrazione filologicamente rigorosa e capace di amalgamarsi con le scelte fatte dalla regia. La riduzione dell’organico dell’orchestra, per garantire il distanziamento dei musicisti, non ha influito negativamente sull’esecuzione dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana, in quanto la direzione musicale ha privilegiato gli “effetti” dello spartito, tralasciando alcune finezze di fraseggio che si sarebbero comunque perdute in un’esecuzione all’aperto.

La regia di Davide Livermore ha dato all’opera una visione metafisica esaltata dalle atmosfere notturne che avvolgono tutti i passaggi narrativi della storia, rendendo assolutamente credibile questo “dramma giocoso”, così definito dagli stessi autori per ricordare che l’intera esistenza umana è segnata da un alternarsi di aspetti drammatici e di parentesi “giocose”. Livermore, a nostro avviso, si è mosso secondo due precise direttrici.

Da un lato ha messo in scena il Don Giovanni del mito, il giovane libertino dalla sfrenata sensualità, l’individuo che disprezza le regole e non ha paura della morte, che irride l’aldilà e la stessa divinità, l’uomo che ama la trasgressione evidenziata dal quel grido “Viva la libertà” che chiude il primo atto e che nel 1787 precedeva di appena due anni l’altro grido “Liberté, Égalité, Fraternité” che avrebbe rivoluzionato il mondo intero, un “grido” che deve aver scandalizzato il pubblico del suo tempo, ma che si poneva in linea con quel filone di pensiero dell’Illuminismo settecentesco caratterizzato da una esaltazione dell’erotismo da Choderlos de Laclos fino a Diderot e alla “filosofia del boudoir” di Sade.

Nello stesso tempo si è voluto sottolineare come il personaggio “Don Giovanni” sia arrivato fino ai nostri giorni, per cui, secondo lo psicanalista Massimo Recalcati, continua a riflettere “il fantasma inconscio (o conscio) del desiderio maschile: godere del proprio fascino irresistibile, trasformare la donna in conquista, allungare infinitamente la lista delle proprie imprese seduttive… Don Giovanni non conosce il senso di colpa. Egli decide di essere un impenitente, di giocare con la verità: ama la maschera, il trucco, l’artificio. La sola Legge che conosce è quella del proprio godimento temerario”.

Don Giovanni è quindi presente nella società di massa, dove la seduzione è diventata virale attraverso i social, dove ogni persona può essere un seduttore e un sedotto; è diventato un cittadino globale che non consuma il sesso per amore ma per la reiterazione del consumo, disponendo di una gamma infinita di possibilità per allungare la lista delle sue conquiste. Giustamente Livermore, mentre Leporello snocciola il celebre catalogo della conquiste del padrone, riempie la parete dello Sferisterio con le foto di belle ragazze per ricordare le immagini che ormai circolano a migliaia sui social.

Dall’altro lato Livermore riprende un tema caro al teatro barocco che, in linea con la restaurazione della chiesa post-tridentina, attribuisce al personaggio di Don Giovanni il significato edificante del “ateista fulminato” e ripropone il culto delle anime purganti che ritornano dall’aldilà per compiere una vendetta o ristabilire la giustizia con un gesto esemplare. Il grande seduttore diventa così la più estrema delle metafore anticattoliche, un emissario del demonio, un vero e proprio “diavolo incarnato”, simbolo perverso di una empietà che diffonde intorno a sé i neri vapori infernali.

La regia ha scelto una battuta iniziale di Leporello (“Chi è morto? Voi o il vecchio”) per ipotizzare un duello alla pistola tra il Commendatore e Don Giovanni, dove entrambi rimangano colpiti a morte, per cui i due atti dell’opera diventano un lungo flash back durante il quale, dinanzi agli occhi di Don Giovanni passa tutta la vita con le donne che ha sedotto e quelle che sogna di poter ancora conquistare, con le sue burle feroci, con i suoi inganni per sfuggire alla continua rincorsa di Donna Elvira e al tenace inseguimento di Donna Anna e Don Ottavio, spinti dal desiderio di raggiungere una vendetta riparatrice. Così Don Giovanni e il Convitato di pietra vivono in una dimensione sospesa tra inferno e paradiso, quando ancora non si è imboccata la strada della salvezza o della dannazione eterna, con una costante irruzione dell’ultraterreno nel mondo reale con un percorso che si concluderà con la morte dei due contendenti nello scontro finale che riporta i protagonisti là dove tutto era cominciato.

È questo uno degli aspetti più intriganti e affascinanti del progetto di Livermore, una delle regie più belle arrivate allo Sferisterio negli ultimi anni, una regia che, per questo viaggio ciclico dalla morte alla vita e dalla vita alla morte, ha sfruttato tutta l’ampiezza del palcoscenico; ha introdotto l’incisiva presenza dei mini che hanno animato come ossessivi fantasmi erotici i festini del libertino; ha imposto la continua apparizione sulla scena di un taxi giallo a cui è stata assegnata la funzione di una tecnologica barca di Caronte destinata a traghettare le anime verso il mondo ultraterreno come avverte il povero Leporello quando esclama “Ah padron, siamo tutti morti”.  Veramente geniale. Quindi la rappresentazione si conclude con un ritorno alla realtà come omaggio alla tradizione settecentesca del capolavoro mozartiano.

Il successo di questa edizione dell’opera è stato avvalorato anche dall’impiego del video mapping che, con le sue proiezioni bi o tridimensionali, ha permesso di ricoprire per intero l’immensa parete dell’Arena in una continua apparizione di nobili palazzi, vestigia romane, figure sottilmente erotiche, cieli tempestosi percorsi da splendide nuvole blu, distese celesti punteggiate di stelle, lune sospese sopra il mare. Il tutto sorretto da un suggestivo progetto luci. 

I giovani interpreti, che hanno formato il cast, sono stati tutti all’altezza di questa messa in scena a cominciare da Mattia Olivieri, un prestante Don Giovanni cinico e tormentato, dotato di una bella emissione di voce e di un’efficace teatralità. Tommaso Barea è entrato nei panni di Leporello, un servo sempre disposto a esaudire i voleri del suo padrone con una presenza dinamica e persino atletica, ben presto dimentico della sua affermazione iniziale “Voglio far il gentiluomo e non voglio più servir”. Giovanni Sala è stato un Don Ottavio elegante che, senza essere svenevole, ha svolto il ruolo del giovane innamorato con una valida emissione di fiati soprattutto nella sua aria “Come mai creder deggio”. Davide Giangregorio è stato un Masetto generoso e combattivo, anche se sottomesso alla grazia maliziosa di Zerlina. Antonio di Matteo ha indossato con autorevolezza le vesti del Commendatore, una figura ultraterrena equivoca e inquietante. Sul versante dell’universo femminile il soprano messicano Karen Gardeazabal è stato una Donn’Anna molto musicale e dalla limpida voce, una donna dal rigore morale e assetata di vendetta, la quale non mostra nessuna complicità con il suo seduttore come è avvenuto in altre edizioni dell’opera. Valentina Mastrangelo si è rivelata una Donna Elvira incisiva ed efficace, che ha dato il meglio di sé quando ha interpretato l’aria “Mi tradì quell’alma ingrata”, disegnando il personaggio di una donna tradita e costantemente beffata da Don Giovanni ma illusa fino alla fine di poterlo redimere. Infine, Lavinia Bini è stata una Zerlina piena di candore e d’intrigante malizia, una giovane donna che sa giocare le sue carte tra erotismo e ingenuità senza cadere in inutili smancerie.

Don Giovanni

Dramma giocoso in due atti K 527

Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Libretto di Lorenzo Da Ponte

  • DIRETTORE – FRANCESCO LANZILLOTTA
  • REGIA E SCENE – DAVIDE LIVERMORE
  • LUCI – ANTONIO CASTRO
  • VIDEOMAKER – D-WOK
  • ASSISTENTE ALLA REGIA – GIANCARLO JUDICA CORDIGLIA
  • ASSISTENTE COSTUMISTA – STÉPHANIE PUTEGNAT
  • DON GIOVANNI – MATTIA OLIVIERI
  • DONNA ANNA – KAREN GARDEAZABAL
  • DON OTTAVIO – GIOVANNI SALA
  • COMMENDATORE – ANTONIO DI MATTEO
  • DONNA ELVIRA – VALENTINA MASTRANGELO
  • LEPORELLO – TOMMASO BAREA
  • MASETTO – DAVIDE GIANGREGORIO
  • ZERLINA – LAVINIA BINI
  • Orchestra Filarmonica Marchigiana
  • Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
  • Martino Faggiani Maestro del coro
  • Massimo Fiocchi Malaspina altro Maestro del coro
  • Claudia Foresi Maestro al fortepiano

Coproduzione con Chorégies d’Orange