Cavalleria e Pagliacci in salotto


Silvana Scaramucci

24 Ago 2012 - Commenti classica

Ascoli Piceno (23.08.'12). à ormai assodato che il salotto più bello d'Italia, la piazza del Popolo di Ascoli Piceno compete alla pari con i sancta sanctorum dei templi italiani della lirica. Dovunque si giri il palcoscenico l'acustica è assicurata e la resa mirabile della modulazione delle facciate in travertino si presta ad ogni esigenza scenica. Così fu per l'Otello dello scorso anno, così è stato anche per Cavalleria rusticana di Mascagni e per Pagliacci di Leoncavallo.
Quest'anno è stata la fiancata laterale del tempio di San Francesco a fare da sfondo ad entrambe le opere in programma, da sempre rappresentate insieme: gemelle sì potremmo dire – ma di sacche diverse. Le accomuna infatti, la tematica dell'amore geloso la crudezza delle soluzioni finali, la brevità dei testi, la contemporaneità dei debutti (1890 a Roma Cavalleria rusticana, 1892 a Milano Pagliacci), la sintonia dei tempi e degli intenti veristici dei giovani autori desiderosi di affrancarsi dalla ripetitività del melodramma romantico, l'immediatezza espressiva a forti tinte che si sfoga su vocalismi e su una cantabilità istintuale ma anche struggente (come ad esempio nel duetto Nedda e Silvio di Pagliacci).
Tutti elementi questi che vanno tenuti presenti nel considerare l'allestimento ascolano.
Nell'insieme il risultato è stato piacevole ma il pubblico che gremiva la piazza ha applaudito con parsimonia.
Discutibile è sembrata ai più l'apertura di Cavalleria rusticana: sulla scena troneggiava un grande crocifisso ai piedi del quale è apparsa Santuzza abbarbicata in segno di disperazione. A noi invece la scena è piaciuta e nella scelta del regista Maurizio Marchini abbiamo còlto a dire il vero proprio in quel silenzioso atteggiamento, quasi un prologo muto, l'intuizione di certa ierofanìa che connota gente e paesi della Sicilia di almeno un secolo fa, quel presentimento dell'incombente tragedia contro cui nulla si può. Il soprano Nila Masala in Santuzza, il contralto Erika Zanaboni in mamma Lucia sono state decisamente all'altezza dei ruoli, il baritono Silvio Zanon in Alfio è stato superiore in performance scenica, meno nella resa vocalistica, voce dal timbro poco incisivo e senza colore ma in Tonio di Pagliacci l'interpretazione è stata migliore. I cast nel complesso hanno presentato discrete voci tenorili, soprattutto Francesco Anile in Canio anche se pure questa volta il belcanto femminile è spiccato di più.
Su tutto merita la prima menzione l'Orchestra Filarmonica Marchigiana diretta dal M. Attilio Tomasello: capita così di rado di ascoltare, particolarmente in luoghi all'aperto, modulazioni strumentali così ben scandite e armonizzate in cui ogni strumento ha mantenuto la propria identità senza alcun occultamento nè sovrapposizione di suoni. E, tenuto conto degli intermezzi musicali orchestrali, preponderanti nelle opere in questione, non è cosa da poco. Anche il Coro Ventidio Basso di Ascoli Piceno diretto dal M. Carlo Morganti si è espresso al meglio sia come performance sia come voci, ma c'è stato qualche intenditore fra il pubblico che ha colto la scarsa presenza di voci maschili, determinanti, in effetti, in opere dal contesto marcatamente paesano e per certi versi virulento, annotazione questa soprattutto in riferimento a Cavalleria rusticana. La scenografia in parte fissa, come si è accennato in apertura, ha consentito all'opera di Leoncavallo più leggerezza di movimento tanto che la regia di Renato Bonajuto ha reso con destrezza il paesino calabrese in festa evocando come in un puzzle la contemporaneità degli accadimenti comico-tragici.
(Silvana Scaramucci)


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