Una splendida edizione dell'”Elisir d'amore” a Jesi
Alberto Pellgrino
3 Nov 2011 - Commenti classica
Jesi (AN). L'Elisir d'amore di Gaetano Donizetti, andato in scena il 21-22-23 ottobre 2011 al Teatro Pergolesi, è destinato a rimanere negli annali della Fondazione Pergolesi come esempio di un allestimento di valore senza fare ricorso a presenze divistiche, ma portando in scena giovani cantanti che, senza toccare punte di eccellenza, hanno dato con le loro interpretazioni omogeneità stilistica all'intera opera, fornendo nello stesso tempo un'ottima prova di recitazione. Altrettanto validi e giovani interpreti sono i cantanti del secondo cast Dorela Cela, Javier Tomè Fernandez, Alessandro Sessolo e Alessio Potestio, tutti vincitori di concorsi internazionali.
Questa edizione è un piccolo gioiello incastonato nella 44^ Edizione della Stagione Lirica jesina non solo per l'ottima regia, ma per la qualità del cast: il soprano australiano Angela Brun, vincitore di numeri concorsi internazionali, ha debuttato nel ruolo di Adina, fornendo una prova piena di grazia e di coloriture; il giovane tesone cinese Yijie Shi, che avevamo già ammirato a Jesi ne Il viaggio a Reims, si è rivelato ancora una volta un buon interprete del repertorio rossiniano e donizettiano, riscuotendo un personale successo nella celebre romanza Una furtiva lacrima ; il baritono coreano Julian Kim è entrato alla perfezione nelle vesti del sergente Belcore non solo con un'apprezzabile estensione vocale, ma con una recitazione piena di ironia e sorretta da un'ottima gestualità ; infine il giovane baritono Mattia Olivieri ha brillato nella parte di Dulcamara per presenza scenica e raffinate qualità recitative. Buona anche l'interpretazione del Coro Lirico Marchigiano Bellini che ha tenuto la scena con una calzante presenza, sorretta da ottimi movimenti di massa. La conduzione del M Roberto Polastri non è risultata sempre omogenea, lasciando che l'orchestra in determinati pieni finisse per sovrastare i cantanti con un certo danno per l'interpretazione.
Va segnalata in modo particolare la perfetta regia di Italo Nunziata che ha letto con fantasia il bel libretto di Felice Romani e lo spartito di Donizetti. Egli ha preso lo spunto dai versi di Metastasio Sogni e favole io fingo: e pure in carte/Mentre favole e sogni orno e disegno , per allestire una fiaba moderna all'interno di una scatola magica che ha consentito di ottenere effetti bidimensionali e tridimesionali . L'alto livello dell'allestimento è stato garantito da un aperto richiamo alla scuola napoletana del Settecento a cui Donizetti si riallaccia in maniera del tutto originale per superare quel domino assoluto che Rossini aveva imposto sull'opera buffa.
Il compositore adotta un linguaggio che immette nell'opera comica una componente melodica del tutto nuova, affidando al tenore e in parte ad Adina quell'elemento in più del patetico (si pensi alla splendida aria Chiedi all'aura ) che riporta questo melodramma in pieno clima romantico, tenendo egli bisserà questa operazione nell'altro capolavoro del Don Pasquale. Bisogna anche ricordare che il debutto dell'opera è avvenuto nel 1832, quando solo Bellini è in grado di contrastare il genio musicale di Donizetti ed è ancora lontano l'avvento del principe del romanticismo Giuseppe Verdi. Al successo dell'opera contribuisce anche il libretto scritto da Felice Romani (forse il migliore della sua vasta produzione) e tratto da un precedente libretto scritto da Eugène Scribe per Daniel Auber che aveva composto Le Philtre.
Lo spettacolo, aperto e chiuso in senso circolare dalla figura magica di Dulcamara illuminata da un potente riflettore verde, è stato impreziosito dalla geometrica e funzionale pulizia dello spazio scenico e dall'intelligente e divertente presenza di alcuni essenziali elementi di scena tra cui delle balle di paglia destinate a svolgere un ruolo polifunzionale (divani, tribuna, piedistallo, tavolo nuziale, ecc.) con degli efficaci colpi di teatro come durante l'esecuzione nella Barcarola a due voci della bella gondoliera e del vecchio senatore Adina esce da una specie di scatola magica con indosso un'enorme gonna sulle diverse gradazioni dell'azzurro a simboleggiare le acque di un mitico canale veneziano.
Ogni azione scenica è stata sottolineata e valorizzata dall'efficace il progetto luci curato dall'americano Patrick Latronica, come sono risultati molto eleganti, intriganti e funzionali alla scena disegnati da Pasquale Grossi con perfette tonalità cromatiche giocate sui toni del blu, del celeste e dell'avana, ispirati ai primi decenni del Novecento. Una particolare citazione merita la scenografia sempre progettata da Pasquale Grossi, che ha disegnato delle scene mobili ispirate all'architettura razionalista di metà Novecento ed ha realizzato degli splendidi fondali sempre sui toni del blu e dell'avana, ispirati ad alcune grandi tele del pittore finlandese Hannu Palosuo che da alcuni anni lavora in Italia, adottando come originale soluzione non delle scene appositamente ideate per questa opera, ma i lavori pittorici di un artista che in questo modo comunica allo spettatore delle emozioni che arrivano dal mondo pittorico al mondo teatrale, mettendo insieme linguaggi appartenenti a forme diverse di comunicazione come la pittura, la musica, il canto, la recitazione, i codici gestuali tutti tendenti a realizzare una messa in scena capace di trasmettere una sua precisa cifra di eleganza sia nei passaggi comici che in quelli sentimentali, grazie ad una recitazione curata nei minimi particolari, ai tempi e ai movimenti di scena eseguiti con perfetti sincronismi.
(Alberto Pellgrino)