Tullio Pericoli “Forme del Paesaggio. 1970-2018”, Mostra ad Ascoli Piceno
di Flavia Orsati
31 Ago 2019 - Altre Arti, Eventi e..., Arti Visive
Ospitata a Palazzo dei Capitani, ad Ascoli Piceno, la mostra antologica Tullio Pericoli “Forme del Paesaggio. 1970-2018”, a cura di Claudio Cerritelli, dal 22 marzo 2019 al 3 maggio 2020.
A Palazzo dei Capitani, splendido edificio storico sito a Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno, in pieno centro storico, dal 22 marzo 2019 al 3 maggio 2020, è ospitata la mostra del Maestro Tullio Pericoli “Forme del Paesaggio. 1970-2018“, a cura di Claudio Cerritelli, percorso antologico ripercorre tutta la carriera di Pericoli e il suo rapporto con il paesaggio, con 165 opere esposte.
Tullio Pericoli, di origini marchigiane (nato a Colli del Tronto nel 1936), è indissolubilmente legato al paesaggio della Terra di Marca, ai suoi dolci colli che scolorano, ad oriente, verso il mare e che si impennano, ad occidente, verso le cime appenniniche. In virtù di ciò, una sala dell’esposizione non poteva non essere dedicata all’evento sismico che ha scosso il Centro Italia nel 2016. Ci dice Pericoli stesso:
Le impressioni ricevute dalla visita ai paesi di Arquata, Pescara del Tronto e Accumoli colpiti dal terremoto del 2016 e del 2017 sono all’origine delle opere di questa sala. In esse emerge il senso di svuotamento della vita e della storia delle case e degli antichi palazzi di quei luoghi.
L’antologica ascolana, in effetti, si propone come un percorso a ritroso nella carriera dell’artista, nel tentativo di sondare la sua evoluzione e di ponderare, di volta in volta, quanto la morfologia della terra marchigiana abbia pesato su di lui e sul suo modus operandi.
Sicuramente, una costante dell’opera di Tullio Pericoli è lo sfondamento spaziale, che si attua nei suoi dipinti o in positivo o in negativo, essenziale da sottolineare nell’anno di una celebrazione importante per le Marche e per il mondo intero: il bicentenario della composizione dell’idillio “L’Infinito” da parte del recanatese Giacomo Leopardi.
Il percorso procede a ritroso, sino ad arrivare ai primordi della carriera artistica, agli anni ’70, periodo in cui si ramificano e consolidano le radici di tutto ciò che verrà successivamente. Dal 1970 in poi, infatti, Pericoli raffigura vere e proprie radici, in un ciclo materico-pittorico intitolato “Geologie“, costituite da una forte presenza di materia sotterranea, quindi giocate sull’opposizione dicotomica di presenza-assenza, visibile-invisibile, fratture telluriche profonde che squarciano la superficie della terra e fanno intravedere un oltre, ma in negativo, più profondo dell’abisso, oltre il substrato terrestre visibile, rivelandone i segreti più nascosti. La tecnica di realizzazione è cromo-plastica, con consistenza tattile.
Successivamente (1976-1983), l’immagine si alleggerisce, con acquerelli, chine e matite su carta; caratteristica di questa fase è la levità, unita ad una forte presenza luminosa, orizzonti tenui che tacitamente si mettono a contatto con l’infinito e procedono al suo sfondamento spaziale. Ancora una volta, ad essere raffigurati sono, per lo più, le dolci e sinuose colline del territorio marchigiano.
Alle soglie del nuovo millennio, e per tutto il primo decennio, invece, la visione si orienta più verso il dettaglio che verso uno sguardo d’insieme; si riflette sul costante divenire del paesaggio, che è sempre connubio di natura e cultura, punto luminale in cui i due elementi si incontrano e giungono ad una sintesi, per cui presuppone una presenza umana che lo modella e agisce, cambiando con lui. La visione, quindi, non è più aperta e panoramica ma chiusa, in un corpo a corpo diretto con la materia e con il colore, facendo sì che dal caos emergano frammenti, nella visione in cui ciò che è riportato sulla tela non è che parte infinitesimale di un frammento tra miriadi di frammenti.
La stagione più recente, sicuramente anche a causa del sisma di tre anni fa, pone in modo ancor più forte l’accento sul costante essere in fieri della natura, sottoposta al gioco e giogo del tempo. Così, si possono vedere i cambiamenti – fisici e spirituali – che le scosse hanno provocato nel paesaggio e nella comunità. L’orizzonte è quasi sempre alto, come a suggerire l’impossibilità di una via di fuga, come se il cielo, e quindi l’infinito e la capacità di sognare, fosse sparito o si fosse ritirato in un luogo più lontano. Tutto è sconvolto, privo di radici, precario, fragile, come è instabile l’equilibrio dell’uomo sulla terra, fonte di distruzione e rigenerazione continua allo stesso tempo: non si tratta di un annullamento totale dunque, ma della ricerca di nuove forme di equilibrio. La pittura di Pericoli, ha fatto notare Umberto Eco, non è pittura di paesaggio nell’accezione comune che si tende a conferire a questo termine: egli guarda la natura sempre in prospettiva e dall’alto, con lo scopo di estraniare ed astrarre, interrogando, senza influenze esterne, la materia che esplora. L’artista, dunque, ha collegato strettamente e sinergicamente il tema del paesaggio a quello dell’infinito, in un’unione tipicamente marchigiana, riproducendolo a frammenti sulle tele e abbracciando, contemporaneamente, porzioni sterminate di terre che si susseguono, una dopo l’altra.