Daniele Pecci magistrale in “La morte della pizia”


di Roberta Rocchetti

9 Lug 2019 - Commenti teatro

L’attore romano Daniele Pecci, a Corinaldo (AN), presta il suo corpo e la sua bravura ai personaggi de “La morte della pizia” per la Rassegna TAU (Teatri Antichi Uniti), coadiuvato dai musicisti Sara Cesano e Chiara di Benedetto.

La XXI edizione della rassegna TAU (Teatri Antichi Uniti) ha preso il via il 3 luglio e continuerà fino al 10 agosto toccando alcuni tra i più bei siti archeologici marchigiani e facendo risuonare in essi le antiche voci di spiriti immortali.

Il 5 luglio la rassegna è giunta a Corinaldo (AN) nello spazio attiguo alla chiesa di  S. Maria in Portuno, luogo di culto protocristiano vicino al quale si trova una campagna di scavi attigua alle rovine dell’antica Suasa che già ha fatto risorgere dalla sua terra molto del proprio passato romano, ma è di poco tempo fa anche il ritrovamento, in una vicina zona rurale, di un’antica tomba denominata del “principe piceno” che sembra destinata a fornire ancora reperti ed informazioni inedite sulla misteriosa esistenza di questo popolo e dei suoi rapporti con le popolazioni vicine.
La morte della pizia, questo il titolo portato sul palcoscenico naturale di S. Maria in Portuno da Daniele Pecci, molto attivo in teatro e nel cinema ma conosciuto dal grande pubblico anche per le sue partecipazioni a fiction televisive, che si è avvalso della collaborazione di Sara Cesano al violino e Chiara di Benedetto al violoncello.

Daniele Pecci

Prendendo spunto dall’ironico ma profondo testo di Friedrich Dürrenmatt, eclettico e prolifico scrittore e drammaturgo novecentesco, Daniele Pecci ci racconta tra le note degli archi le ultime ore di vita della sacerdotessa di Apollo, la pizia appunto, al centro delle trame politico/familiari e delle lotte di potere in cui si trovarono invischiati Edipo, Giocasta, Laio, Tiresia e la Sfinge; ed ecco emergere gli archetipi che da sempre dominano e disegnano le vicende umane.

Dal vapore sulfureo proveniente dalla fenditura del terreno della casa della pizia morente essa crede, già allucinata nella sua agonia ma ancora abbarbicata al proprio tripode, di veder emergere tutti quelli che furono destinati dal Fato a rendere veritiero un suo vaticinio dato un po’ a casaccio per il solo gusto di destabilizzare il povero Edipo che le sedeva di fronte e al quale predisse che avrebbe ucciso suo padre e giaciuto con sua madre. Del resto raccontano gli antichi spiriti tra i vapori inferi, anche Tiresia si era prestato a fornire responsi fallaci atti a manovrare gli eventi politici del tempo. Ogni personaggio è delineato da Pecci con ironia, mestiere e disinvoltura, passando con fluidità dal tragico, all’ironico, all’iroso e prestando il suo corpo, per altro molto apprezzato dal pubblico femminile presente, agli spiriti degli antichi personaggi ai quali ha dato vita nel corso dello spettacolo.

Ascoltando l’interprete raccontare, mentre fa riemergere dal pozzo prezioso della letteratura classica e dal testo di Dürrenmatt le miserie, le speranze, gli odi, le menzogne e i sotterfugi e le passioni che sono le stesse in ogni tempo, riconosciamo la matrice dei racconti sacri e non che hanno soddisfatto la fantasia e il bisogno di spiritualità di ogni popolo ad ogni tempo o latitudine, a tratti ascoltiamo un eco di Pinocchio, a tratti sembra di intravedere Biancaneve, un momento riconosciamo Turandot,  Mosè o Gesù, di archetipo in archetipo.

Rendendo chiaro ancora una volta che il nome che diamo ai sentimenti, agli stati d’animo, ai timori, sono convenzioni temporali e territoriali che in realtà appartengono al tempo e allo spazio da sempre, che ci vengono prestati per il tempo che calpestiamo questa terra, come una tela bianca sulla quale di tanto in tanto qualcuno dipinge un colore, un nome, una storia, ma che alla fine torna a far parte di quell’energia cosmica che intuiamo come reale e palpitante, pur nel profondo mistero dietro al quale da sempre si cela e alla quale diamo un volto di divinità o di destino. E crediamo di poter dire senza tema di smentita, che l’arte tutta è figlia di questo immenso mistero.