Nel segno di tre seduttori


Alberto Pellegrino

25 Giu 2007 - Commenti classica

La XXXIX Stagione lirica del Teatro Pergolesi di Jesi ha presentato in cartellone tre classici del melodramma: Don Giovanni di Mozart (nuova produzione con il Teatro dell'Aquila di Fermo e i Teatri Spa di Treviso), Carmen di Bizet (nuova produzione con il Teatro dell'Aquila di Fermo, i Teatri Spa di Treviso, il Teatro Nazionale di Belgrado e il Circulo Portuense de Opera di Porto), Rigoletto di Verdi (una produzione del Teatro dell'Opera di Nizza).
L'intera stagione si è caratterizzata nel segno della seduzione di segno maschile e femminile: il più celebre seduttore della storia umana è certamente l'Ingannatore di Siviglia, che ha scatenato la fantasia di centinaia di drammaturghi, narratori, poeti e musicisti; personaggio dalle mille sfaccettature, universale e sfuggente, in cui confluiscono alcuni temi dominanti della cultura giudaico cristiana (l'antico marchio della ribellione a Dio nell'Eden, la paura del peccato e della dannazione, la superbia della conoscenza, la sfrontatezza della libertà ); figura soggetta ad analisi psicanalitiche sul tema del doppio, del rapporto edipico, della esaltazione del super-io. Mozart rimane profondamente attratto da questo personaggio e ne coglie l'aspetto del peccatore non pentito che non abiura il proprio libertinismo nemmeno di fronte alla minaccia reale dell'inferno, ma anche ne anticipa i risvolti psicanalitici attraverso una potente rappresentazione del super-io che fa sentire all'interno dell'io la voce della legge, della coscienza morale e la presenza interiorizzata della figura paterna. Il Don Giovanni non incarna la figura del libertino volgare, ma si ricollega alla tradizione dell'ateista fulminato catturato dal sentimento dell'amore al punto tale che il Maligno ne fa lo strumento per catturare l'animo mobile di questa creatura; per questo in lui il principio erotico-sensuale s'identifica con la seduzione (come ricorda Massimo Mila), il suo amore diventa costituzionalmente infedele, ma senza ricorrere alla frode, perchè non è lui che inganna ma la forza stessa della sensualità che domina la sua natura. Secondo la recente lettura di Lidia Bramani, è possibile individuare nel Don Giovanni di Mozart sia la malia musicale che il personaggio emana , sia la riprovazione morale . Il compositore smaschera l'inganno e il narcisismo del personaggio, ma invece di ridicolizzare questi aspetti (come ha fatto Shakespeare con Falstaff) li innalza a una dimensione trascendente, svelandoci come tragicamente statici, spaventevole negazione di vitalità . Don Giovanni non è un rivoluzionario che vuole cambiare il mondo circostante (in questo senso lo è molto di più Leporello), accetta le regole della morale e si diverto molto di più a infrangerle, le sfida senza metterle in discussione; per accendere il suo desiderio ha bisogno della trasgressione e per questo i suoi progetti sono continuamente destinati al fallimento, finendo per essere un ingannatore ingannato e il finale dell'opera fissa il personaggio nell'immobilità della morte, è il trionfo della morale secondo la quale il destino dei malvagi è quello di avere una morte uguale alla vita ( Questo è il fin di chi fa mal/e de' perfidi la morte/alla vita è sempre ugual! ). Il decesso non più un passaggio dinamico, un convertitore di energia limitata e terrena in energia eterna e collettiva. Per Mozart massone, togliere all'esistenza la sua parte rigeneratrice, vale a dire la morte, significa gettarsi nel baratro del vuoto (L. Bramani).
Carmen al contrario rappresenta il massimo della seduzione al femminile: anche lei sivigliana come Don Giovanni, non ne possiede le pulsioni interiori e gli spasimi intellettuali, ma porta sulla scena il calore della passione bruciante come il sole dell'Andalusia; espressione di una morale popolare precristiana, la gitana Carmen è appassionata e volubile, non conosce le regole della morale ma segue gli impulsi dei sensi che bruciano i sentimenti rendendoli fragili come un augello , brevi come lo spazio di un mattino. Per Carmen si può impazzire di desiderio, corrodersi nel rimorso, bruciare nel ricordo di una amore finito che spinge Don Josè fino all'omicidio quasi a cercare un'impossibile catarsi nel sangue. Ma nonostante l'intreccio delle passioni e dei sentimenti, della riscatto di riscatto e di sopraffazione che lega fra loro i vari personaggi, la dominatrice assoluta della scena rimane Carmen, una Circe plebea che è impossibile non amare.
Infine un'altra figura di seduttore, resa mitica dalla musica verdiana, ma che discende tragicamente dalla fertile penna di Hugo drammaturgo (Il re si diverte). In Rigoletto, il Duca di Mantova è il più squallido dei seduttori, un collezionista di femmine privo di ogni principio morale, un ingannatore incallito, un cinico sfruttatore della sua posizione di potere. Siamo quasi al limite dello stereotipo, reso grande dalla figura dello storpio buffone di corte, personaggio ricco di sentimenti positivi e negativi (l'amore e la pietà per la sposa, la tenerezza paterna, l'orgoglio deriso dalle quotidiane umiliazioni, la sete di vendetta di un padre ferito nell'onore): Rigoletto è un gigante della scena e il seduttore un piccolo essere che passa con indifferenza dalla nobile alla domestica, dalla vergine alla prostituta (Questa o quella per me pari sono) per soddisfare il suo orgoglio di maschio e la sua arroganza di casta (come vuole dimostrare soprattutto Hugo).
Questa delle stagioni sta diventando un po' la moda del momento, l'essenziale è usare questa arma con intelligenza e la scelta jesina dei tre seduttori ci è apparsa certamente intrigante . In omaggio all'anno mozartiano la stagione si è aperta il 3 ottobre con un Don Giovanni che cerca di essere nello stesso tempo giovane e tradizionale , una scelta che è diventata persino innovativa, dopo tanti Don Giovanni serviti in tutte le salse, sottoposti alle più diverse interpretazioni (alcune al dire il vero alquanto stravaganti), come l'ultima contestatissima interpretazione del Teatro Unter den Linden di Berlino, che ha portato alla Scala un Don Giovanni in abiti contemporaneo con il seduttore che scorrazza in lambretta e che si lascia sedurre in scena dalle sue donne, con un Masetto che è un bullo di campagna, ma che presenta anche qualche idea interessante del regista Peter Mussbach. Il Teatro Pergolesi, al contrario, ha scelto il ritorno alla tradizione con il capolavoro mozartiano messi in scena in puro stile Ottocento , con le sue brave scene dipinte e i costumi d'epoca, con l'intenzione di privilegiare l'aspetto musicale e canoro concentrato grazie al valido apporto dell'orchestra Accademia I Filarmonici , diretta con impeto a volte eccessivo dal giovane maestro ungherese Zsolt Hamar. Sotto il profilo del canto, da lodare la scelta di un cast assolutamente giovane che, se a volte ha peccato di raffinatezze interpretative, ha dato molto sul piano dell'impegno e della freschezza vocale: di buon livello il Leporello di Lorenzo Regazzo, un baritono ormai maturo e dalla recitazione spigliata; accettabile il Don Giovanni di Marco Vinco, che ha reso fisicamente credibile il suo personaggio; intensa e drammatica l'interpretazione di Giorgia Milanesi (Donna Elvira); all'altezza dei loro personaggi anche Raffaella Milanesi, Antonis Koroneos, Michele Bianchini e Rodrigo Esteves; una lieta presenza quella della ventenne Alessandra Marianelli che, vestendo i panni di Zerlina, ha fornito una prova di grazia vocale e di presenza scenica veramente apprezzabili.
Alquanto deludente è stata invece la messa in scena di Eugenio Monti Colla, illustre e intelligente uomo di teatro che ha firmato regia, scene e costumi. Facendo leva sulla sua grande e conclamata esperienza di maestro del teatro delle marionette, ha lasciato a metà strada un'idea registica che poteva risultare vincente: quella di un teatro nel teatro dove gli esseri umani sostituivano le marionette. Dopo un avvio promettente (un prologo recitato da due marionette che presentano Il gran Convitato di Pietra ) e un finale sicuramente intrigante (ricompare il teatrino con la marionetta del Convitato di Pietra e accanto ritorna in carne e ossa un redivivo Don Giovanni, personaggio che non può morire perchè ormai entrato nel mito), l'idea si è persa nel corso dello spettacolo nella gestualità e nella recitazione sia degli interpreti che delle comparse e a ricordarla è restato soltanto quel grande sipario rosso che è calato ogni volta a segnare la divisione tra una scena e l'altra, secondo la tradizione del teatro marionettistico.
La Carmen di Bizet è andata in scena il 3-5-7 novembre con un cast di buoni interpreti come Laura Polverelli (Carmen), Rubens Pellizzari (Don Josè), Umberto Chiumunno (Escamillo) e Amanda Squitieri (Michaela), che hanno cercato di rendere al massimo suoni e atmosfere del capolavoro di Bizet (di sicuro rilievo la Michaela della Squitieri), purtroppo non sempre assistiti dalla direzione non sempre all'altezza dello statunitense Christopher Franklin.
Il loro impegno è stato purtroppo in parte vanificato da una mediocre messa in scena a cominciare dalla scenografia di Nadja Sèlavi che non è riuscita ad assumere una linea stilistica omogenea, passando da abbastanza suggestivi ambienti geometrico-cromatici anni Trenta, a vuoti di scena preoccupanti, a ambientazioni tradizionali o addirittura deocontestualizzate rispetto alla vicenda; persino imbarazzanti i costumi ideati da Elena Cicorella che sono passati con disinvoltura dai costumi anni Venti, i contrabbandieri a metà strada tra i gangster e i comici dell'avanspettacolo in una assoluta incoerenza cronologica e stilistica (armi automatiche del Novecento o oggettistica dell'Ottocento), in una inaccettabile accozzaglia di colori e di abiti da mercatino con i bambini del coro vestiti come giocatori di Base-ball e con Michaela a metà strada tra la Fata Turchina e Cappuccetto Rosso. Naturalmente la principale responsabilità di questo caos stilistico ricade sulla non-regia di Wolfram Kremer che non ha saputo trovare una chiave di lettura personale alla rovente tragedia di Carmen (siamo lontani dalla regia di Federico Tiezzi per il Teatro Piccinni di Bari): da questo pasticcio temporale e concettuale non emerge nè l'anelito di libertà anti-borghese e la disperata lotta contro il destino di Carmen, nè la fosca passione di Josè, manca la sensualità , il fuoco passionale di questo personaggio arcaico e attuale, esaltato dalla sua dimensione tragico-mediterranea di sacrificio rituale che vede nell'inevitabile assassinio della Femmina il parallelo lustrale della Corrida (Paolo Isotta). Ha complicare ancora più il tutto è stata l'infelice ripescaggio della versione originale del 1875 con i dialoghi parlati (ci sarà pure una ragione se è stata da tempo abbandonata) alternati alle parti cantate, che ha messo in evidente difficoltà l'Orchestra Marchiana, costretta a lunghe pause, e gli stessi cantanti che hanno una formazione professionale ormai indirizzata esclusivamente al recitar cantando e che sono stati invece costretti a recitare in francese senza avere la preparazione e gli strumenti espressivi propri degli attori di prosa.
La Stagione lirica del Teatro Pergolesi ha chiuso i battenti martedì 5 dicembre con una grande edizione di Rigoletto, veramente convincente sotto il profilo musicale, canoro e registico, una delle migliori messe in scena del teatro jesino. Il capolavoro verdiano è stato prodotto dal Teatro dell'Opèra di Nizza, che ha affidato regia, scene e costumi al suo direttore artistico e sovrintendente, l'attore e regista francese Paul-Emile Foury, il quale ha saputo coniugare la tradizionale eleganza dei costumi (dominati dal nero e dall'oro, dal grigio e da qualche apparizione di bianchi) con l'essenziale efficacia della scena disegnata dai neri che delimitavano lo spazio, conferendo all'intera opera le cupe atmosfere notturne che ne hanno sottolineato il dramma. Nella scena della corte di Mantova un grande fondale rosso ha segnato con i suoi movimenti l'agitarsi delle passioni e ha fatto da sipario alla tragedia personale di Gilda che, alla caduta del velario rosso, è apparsa avvolta nella rossa vestaglia del duca che le ha appena tolto l'onore. Architetture rinascimentali e notturne hanno caratterizzato la casa di Rigoletto, contrapposte alle architetture medioevali della locanda di Sparafucile, che emergeva cupa e inquietante fra i miasmi nebbiosi e i canneti delle paludi mantovane. Alla festosa, arrogante e sensuale atmosfera del primo atto (parte prima) connotata e sottolineata da un coito mimato in scena e dall'apparizione a seno nudo della figlia di Monterone, ultima vittima del famelico duca, hanno corrisposto nella seconda parte l'innocente passione amorosa di Gilda (un'adolescente alla sua prima esperienza sentimentale che il regista ha innalzato al ruolo di protagonista assoluta al pari dei personaggi maschili), i profondi sentimenti paterni e filiali, crudamente intrecciati con l'inquietante presenza di Sparafucile, gli squallidi inganni del duca, la truce beffa dei cortigiani ai danni di Rigoletto. Nel secondo atto è esplosa la tragedia di un padre ingannato e offeso che vuole e pretende vendetta per il corpo violato della figlia; nel terzo atto infine ancora l'inganno, l'offesa e infine il dolore che prende il posto della vendetta e trova come vittima consapevole e innocente proprio Gilda che alla fine, abbandonati gli abiti maschili, riprende il suo verginale abito bianco (bella l'idea dell'interprete che canta come un ombra dolente le ultime battute, proiezione di un profondo strazio paterno, mentre Rigoletto stringe fra le braccia la figlia morente), sotto l'incalzare delle terribili note della tempesta che esplodono e riempiono la scena.
Il regista, da perfetto francese, ha sottolineato i risvolti più rivoluzionari dell'opera (la meschina ipocrisia e l'insulsa voracità sessuale del duca; il volgare e meschino servilismo dei cortigiani che sfogano le loro frustrazioni sul debole Rigoletto, che almeno riconosce il suo disonore di servo), ricordando agli spettatori il messaggio che in questo senso viene trasmesso dal testo originario Il re si diverte di Victor Hugo. Foury, a proposito dell'opera verdiana ha detto: Rigoletto racconta una storia ancora attuale: il suicidio della giovinezza. Gilda programma il suo suicidio. à anche l'opera della follia di Rigoletto in un'epoca allo stesso tempo bella e lurida, epoca in cui ho voluto mostrare la violenza dei costumi e dei comportamenti nel quadro del primo atto La storia di Rigoletto è quella dell'esperienza della solitudine di uomini potenti e molto adulati per il loro rango: l'innocenza di Gilda li precipiterà in un mondo che hanno mai immaginato .
Il maestro Antonino Fogliani ha ben diretto l'Orchestra Marchigiana e il Coro Bellini, ma hanno contribuito in modo determinante al successo di questa edizione la straordinaria interpretazione del grande baritono statunitense Mark Rucker, intenso, appassionato, tragico Rigoletto incarnato fin quasi all'identificazione mimetica; al suo fianco il soprano uruguaiano Luz de Alba, una interprete tecnicamente dotata, bella e elegante nel portamento, raffinata nel disegnare con grazia ingenua e dolorosa una credibile Gilda; bene anche il giovane tenore georgiano Shalva Mukeria, che ha trasmesso l'irruenza, l'ambiguità , l'allegra immoralità del duca di Mantova.
(Alberto Pellegrino)


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