“Elegia per giovani amanti” gioiello per le Muse
Alberto Pellegrino
5 Gen 2006 - Commenti classica
La Stagione lirica del Teatro delle Muse (AN) si qualifica per la scelta dell'opera Elegia per giovani amanti del maggiore rappresentante della musica tedesca del Novecento Hans Werner Henze su libretto del grande poeta inglese W. Hugh Auden, scritto in collaborazione con Chester Kallman. Dopo aver debuttato in Germania nel 1961, l'opera è stata messa in scena tre sole volte in Italia (Roma, 1961; Torino, 1978; Venezia, 1988), per cui la rappresentazione anconetana costituisce un evento culturale di primo, perchè ha consentito al pubblico di conoscere una delle maggiori espressioni dell'opera lirica del Novecento. I compositori contemporanei hanno fatto spesso ricorso a librettisti di alto spessore letterario (D'Annunzio, Hofmannsthal, Auden, Eliot, Claudel) per la ragione che il melodramma come genere musicale, dopo Puccini, è ormai decisamente in crisi, perchè i gusti del pubblico sono decisamente mutati, come sono cambiati le regole teatrali e il linguaggio musicale legato a tanti capolavori dell'Ottocento, ma anche a tanti melodrammi che hanno goduto una breve stagione di successi. L'opera in musica ha potuto sopravvivere non più come un genere popolare, ma come una eccezione all'interno di una realtà sociale e culturale, grazie al fatto che i musicisti del Novecento hanno saputo creare un carattere e un linguaggio nuovo caso per caso, che hanno dovuto fare ricorso a libretti carichi di forti contenuti poetici e sorretti dall'autorità letteraria degli autori, tale da giustificare la nascita di capolavori operistici ormai lontani nel tempo e privi di legami cultura con la tradizione del passato, ma nello stesso tempo capaci di rappresentare la cultura e le problematiche esistenziali del Novecento.
Non è un caso se nell'opera di Henze, composta tra il 1959 e il 1961, confluiscono gli influssi della poesia e del teatro del primo Novecento (Hofmannsthal, Stefan George, Yeats, Hauptmann, il Thomas Mann della Montagna incantata, l'Ibsen di Quando noi morti ci destiamo) nel clima generale dell'opera e soprattutto nella figura del protagonista, incarnazione del artista decadente in cui si concilia il culto del superuomo e il culto dell'opera d'arte come fine supremo di tutta l'esistenza e la storia dell'uomo, pronto a sacrificare per questo sentimenti e il rispetto stesso della vita umana in un groviglio dove l'ironia si mescola con il dramma, la cattiveria con l'umorismo, l'insulsaggine con la profondità del dolore. Il poeta Mittenhofer, protagonista del dramma, ha una sua intrinseca grandezza fatta di egoismo e crudeltà , del culto esasperato per la propria arte e della propria superiorità , in nome della quale arriva a commettere un delitto con spietata lucidità . Giustamente Pierluigi Pizzi, che ha curato la messa in scena dell'opera, sostiene che egli è il perno psicologico di tutta la vicenda: Mittenhofer è un egoista che ha bisogno di nutrirsi di tutti gli apporti di chi gli sta intorno: la devozione e il rispetto, ma anche l'ipocrisia e perfino il materiale per alimentare la sua ispirazione. E' una forma di ricatto duro e crudele che disvela anche un certo parassitismo da parte dei suoi particolarissimi compagni, dei quali approfitta con cinismo, con una sorta di bulimia dei sentimenti altrui, consapevole della sua posizione di uomo carismatico .
Il libretto ha una sapiente struttura drammaturgica che condensa i contenuti essenziali della trama nel primo atto, per concentrare gli approfondimenti psicologici e sentimentali nel secondo ed infine lasciare lo scioglimento di tutti i nodi tragici nel terzo. La vicenda si svolge in Austria nel 1910 all'interno di un piccolo albergo delle Alpi, dove si muove un microcosmo umano, il quale ha il proprio centro la figura tragica e allucinata dell'artista che ha venduto la sua anima al demone dell'arte, a cui è pronto a sacrificare se stesso e tutte le creature umane che gli vivono intorno. Ospite fissa dell'albergo, la sui terrazza si affaccia sul gelodi profilo del Monte Hammerhotn, è Hilda Mack, una povera donna resa pazza dal dolore, che da quarant'anni aspetta il ritorno del marito, partito per conquistare la vetta dell'Hammerhorn il giorno dopo le nozze senza fare più ritorno. Gregor Mittenhofer frequenta regolarmente l'albergo, avendo al seguito come segretaria la contessa Carolina von Kirchestetten (sua segreta finanziatrice) e il suo medico personale Wilhelm Reischmann, per registrare le sue visioni e i suoi folli discorsi e farne materia per i suoi poemi. Al fianco che anche Elizabeth Zimmer, una giovanissima amante destinata ad accendere la vena artistica e i declinanti impulsi erotici del poeta ormai sessantenne. Tutto si compie in un clima di subdola angoscia, di ironica irrealtà e di menzogna che confina con la parodia, mentre il tempo (scandito da un orologio con un solo rintocco) sembra essersi fissato in un eterno oggi. Ha spezzare questi precari equilibri avvengono due fatti determinanti: arriva Toni, il figlio del dottore, il quale con un improvviso colpo di fulmine s'innamora di Elisabetta, che lo ricambia con altrettanta passione; alcune guide alpine hanno ritrovato nel ghiacciaio il corpo intatto del marito di Hilda, che ritrova improvvisamente la ragione. D'improvviso l'incanto si spezza e il poeta perde con un colpo solo le sue due ispiratrici, la giovane amante e l'anziana visionaria. A questo punto la commedia si trasforma in dramma psicologico, perchè Toni vuole che la ragazza lasci subito il suo amante, mentre Elisabetta teme di dare un dolore troppo forte al poeta che ha seguito più ammirazione che per amore; a sua volta Hilda decide di lasciare l'albergo e ricominciare a vivere dopo 40 anni di segregazione. Mittenhofer intuisce che sta per essere abbandonato dalle donne che sono stata al servizio della sua arte decadente e in un colloquio con Elisabetta denuncia i suoi errori, recita la parte del grande poeta afflitto da una tristezza senile, tanto che la ragazza sta di nuovo per cedere alla sue seduzioni, ma egli con rassegnata e paterna nobiltà finge di benedire l'amore dei due giovani, nascondendo sotto un velo di ironica tristezza, la collera freddamente crudele. Elisabetta rompe gli indugi e chiede a Toni di sposarla, mentre il poeta invita il dottore a superare i suoi dubbi e a dare il suo consenso alle nozze. Mittenhofer annuncia che scriverà in onore dei due innamorati un poema intitolato I giovani amanti ed in cambio chiede solo un piccolo favore: domani i due giovani dovranno recarsi sulla montagna e raccogliere per lui una stella alpina, il fiore che ama di più e che tiene sempre con sè. Hilda e il dottore lasciano l'albergo, i due giovani vanno sulla montagna e solo la fedele Caterina rimane accanto al poeta che da sfogo alla sua ira repressa. Quando una guida alpina si precipita ad annunciare che sull'Hammenhorn è in corso una bufera e chiede se nessuno è uscito dall'albergo per organizzare una spedizione di soccorso, il poeta dice Be' no, che io sappia e la segretaria tace rendendosi complice dell'omicidio. Dispersi sulla montagna, Toni ed Elisabetta sapendo di essere condannati alla morte, sognano di essere marito e moglie ed una vita familiare che non avranno mai. La vicenda si conclude in un teatro di Vienna, dove Mittenhofer, per festeggiare i suoi 60 anni, declama l'Elegia per giovani amanti, ma le due parole non arrivano al pubblico sostituite da suoni inarticolati che rappresentano le voci di quanti hanno tragicamente contribuito a creare quel poema.
Il poeta Mittenhofer vive soltanto in funzione della sua ispirazione e della sua arte a cui sacrifica ogni sentimento fino al totale annullamento delle persone che formano la sua piccola corte, fino a scegliere con cinismo e con sottile crudeltà un'esistenza votata alla solitudine e al culto di se stesso come unica soluzione tra l'artista creatore e il mondo circostante. Mittenhofer rappresenta il punto terminale di una spietata concezione artistica fondata sul continuo conflitto tra bene e male, tra realtà e allucinazione, tra arte e realtà . Follia, e genio, normalità e incomunicabilità diventano un groviglio insolubile di passioni che finisco per annientare ogni tipo di forma umana (amore, famiglia, amicizia, dedizione, riconoscenza affetto), sfociando in atmosfere surreali e grottesche su cui alla fine cala l'ombra implacabile del delitto. Opera dai ritmi drammaturgici serrati e quasi cinematografici (nella edizione anconetana i tre atti sono stati ridotti ad un solo spettacolo senza intervalli per dare maggiore compattezza all'azione), l'arte del poeta non trova mai uno sfogo verbale, ma è affidata esclusivamente alla parte musicale ricca di grande discorsività ed efficacia espressiva. Henze si affida soprattutto agli a solo per esprimere la psicologia dei personaggi, tutti collegati ad uno strumento (gli ottoni per il protagonista, il flauto e il corno inglese per le due donne, il fagotto per l'altro personaggio maschile, gli archi per i due amanti), ma tutti riconducibili all'interno del complesso e sfaccettato tessuto melodico dell'intera opera con un esplicito e metaforico collegamento tra i personaggi spesso affidato alle percussioni. Ogni episodio della vicenda è contrassegnato da una sua sigla distintiva che forma un meccanismo unitario che procede implacabile verso un finale così tragico da divorare di ogni afflato umano. Siamo di fronte ad un totale isolamento dell'uomo con se stesso in un clima culturale che evoca l'introspezione interiore e l'escavazione nei meandri della memoria tipica del decadentismo soprattutto nel segno di Joyce, un progetto estetico finalizzato al trionfo dell'arte individuale che sfocia nel fallimento di una falsa affermazione di sè che vorrebbe prescindere da ogni forma di comunicazione umana, ma che rappresenta solo una solipsistica chiusura in se stessi.
L'opera Elelgia per giovani amanti, andata in scena al Teatro delle Muse il 9-11-13 dicembre 2004, ha riscosso un notevole successo di pubblico e grandi consensi da parte della critica, per merito dell'asciutta e lineare direzione del M Lothar Koenings che guidato l'orchestra Filarmonica Marchigiana nell'interpretazione di questo impegnativo spartito. Molto bravi gli interpreti a cominciare dal giovane baritono italiano Davide Damiani, nei panni del poeta Mittenhofer, affiancato da un cast internazionale di alto livello composto dal mezzosoprano inglese Elizabeth Laurence, dal soprano tedesco Isolde Siebert, dal soprano spagnolo Ruth Rosique, dal tenore americano Johan Bellemer, dal basso Roberto Abbondanza e dall'attore Matteo Carlomagno.
Pier Luigi Pizzi, oltre a guidare con abilità ed efficacia gli interpreti nella recitazione, ha saputo conferire allo spettacolo le consuete, magiche atmosfere con un impianto scenico di austera semplicità , ma funzionale all'azione, allusivo del clima di vuoto e di angoscia e del torbido incrocio di sentimenti presente nell'albergo su cui incombe una gelida luna e il profilo minaccioso, ma anche salvifico della montagna che accoglie chi sceglie la strada di una amore impossibile e condanna chi predilige le tortuose strade del male. Uno spettacolo di qualità che costituisce meritatamente il fiore all'occhiello della stagione lirica anconetana.
(Alberto Pellegrino)