Ute Lemper a Cesena omaggia splendidamente Marlene Dietrich
di Roberta Rocchetti
6 Feb 2019 - Commenti live!, Musica live
Trova le differenze. Questo potrebbe essere il sottotitolo del nuovo spettacolo di Ute Lemper il cui vero titolo è Rendezvous with Marlene.
La cantante e attrice tedesca che la sera di domenica 3 febbraio ha messo in scena il suo nuovo spettacolo sul palcoscenico del Teatro Bonci di Cesena ha le stesse origini di Marlene, ha scelto per vivere la stessa terra d’elezione, possiede lo stesso fisico flessuoso ed androgino, le stesse doti artistiche, una voce calda, suadente, graffiante all’occorrenza, voce che spinse Nick Cave e Philip Glass a scrivere brani per lei, una spiccata capacità interpretativa ed attoriale di cui ha dato prova nei 30 anni di una carriera sempre accesa.
Questa nuova produzione vede la performer omaggiare Marlene entrando nei suoi panni, partendo da una telefonata che intercorse tra le due nel 1988, conseguente ad un premio ricevuto da Ute e che mise in luce oltre alle sue doti artistiche, le somiglianze tra le due donne, che i media non mancarono di evidenziare. Somiglianze inesorabili, tanto che nel 1992 Ute interpretò in teatro Lola, personaggio che rese celebre Marlene nel 1928, spettacolo al quale quest’ultima non poté purtroppo assistere, in quanto morì 6 giorni prima della première berlinese.
Ute canta le sue canzoni e affronta un monologo in cui Marlene stessa racconta la propria vita, dagli esordi in Germania, appunto con il film L’Angelo Azzurro, nazione dalla quale scappò per allontanarsi quanto più possibile dal regime nazista, ai successi americani, al sostegno alle truppe che combatterono per la liberazione della Germania dal nazismo, al suo amore per gli uomini tra cui Jean Gabin, per le donne tra cui Edith Piaf, per l’alcool, per la vita, forse anche per la morte.
Accompagnata da quattro musicisti, Vana Gierig al pianoforte, Cyril Garac al violino, Romain Lecuyer al contrabbasso e Matthias Danek alle percussioni Ute/Marlene scorre la sua vita sulle note di Blowin’ in the wind , di Bob Dylan, per passare a Just a gigolò di Luis Prima e alla celeberrima Lili Marleen, brano che rese la sua voce immortale e riconoscibile in tutto il mondo.
Disincantata, seduta in una poltrona e circondata da bottiglie vuote Ute fa emergere tutta la malinconia dei ricordi in Que reste – T- il De Nous Amours di Charles Trenet, lo stesso disincanto, se possibile anche più freddo e compostamente disperato che emerge da Ne me quitte pas di Jacques Brel.
Intonando Wenn ich mir was wünschen dürfte Lemper abbassa il tono di voce, il volume, restringe le strofe, quasi temesse che qualcosa possa svegliarsi nell’animo o dall’animo di Marlene, qualcosa che Ute sembra preferire continui a dormire.
Agli applausi entusiasti del pubblico il quintetto risponde con un bellissimo bis tratto dal genio di Burt Bacharach, grande amico di Marlene: What the world needs now is love, questo cantato invece a piena voce.
Trova le differenze, dicevamo.
Forse ne abbiamo trovata una nel rapporto sicuramente meno conflittuale che lega Ute agli Stati Uniti, dove con la sua famiglia si è trasferita nel 1998, il modo in cui canta, in cui a volte si muove, in cui intona gli scat legati al jazz, parlano di una adesione senza barriere alla cultura americana, di un passaggio dalla Germania agli Usa senza quel profondissimo conflitto interiore di amore – odio verso il proprio paese d’origine che contraddistinse la Dietrich.
Angoscia figlia di un paese che rifiutò, dal quale venne in parte per un certo periodo rifiutata, la Dietrich gridò per contrasto sempre silenziosamente il suo essere nonostante tutto profondamente tedesca, in ogni nota emessa, in ogni gesto. L’essere rimasta totalmente europea fino alla fine si nota persino nel suo (finto) dialogo con David Bowie nella sua ultima apparizione nel film Gigolò.
Da morta è voluta tornare in Germania, sepolta vicino alla mamma, perché diceva: “Vicino alla mamma niente di brutto ti può accadere”.
Ute è invece una donna felicemente cosmopolita, corre sulle lingue e sugli stili senza tormenti, senza dicotomie, senza ombre, ed ha assorbito molto di ciò che questi ultimi 20 anni a New York le hanno trasmesso, per sua fortuna figlia di un’altra epoca.