“El cimarron” al MacerataOpera 2003
Alberto Pellegrino
22 Lug 2003 - Commenti classica
Macerata – L'eccezionalità di quest'opera è nel livello e nella qualità di fusione dei linguaggi che la compongono, nell'intento di far vivere l'essenza del personaggio/mito. L'azione drammatica e insita e appartiene al baritono e ai tre musicisti, indistintamente. Ciò che si aggiunge è lo spazio/installazione: memoria viva che interagisce in un continuum con musica e canto. Non si tratta di spazio esterno al personaggio; è parte dello stesso e il pubblico viene accolto al suo interno per godere di un punto di vista eccezionale: vivere l'accadimento dalle viscere del personaggio stesso . Con queste parole il regista Henning Brockhaus ha introdotto El Cimarron di Han Werner Henze (1926), lo spettacolo andato in scena il 18/20/21 luglio nel Teatro delle Pietre di Appignano per aprire l'edizione 2003 di Macerata Opera/Terra di Teatri. L'opera del grande compositore tedesco, composta nel 1969/70 e raramente messa inscena, racconta la storia di Esteban Montelo un ex – schiavo di Cuna, le cui esperienze di vita sono state direttamente raccolte nel 1966 dallo scrittore Miguel Barret nel volume Autobiografia di uno schiavo. Per questo particolare evento culturale e musicale, il regista Brockhaus, per creare un luogo psico – fisico capace di accogliere con la giusta ambientazione questo recital, ha previsto dentro un capannone industriale un'installazione delimitata da grandi teli di plastica bianca: nello spazio scenico così ricavato tutta la superficie è stata ricoperta da un sottile strato di sabbia grigia; al centro è stato costruito un quadrato di pietre riservato al direttore d'orchestra e ai tre musicisti impegnati a suonare decine di strumenti; tutto intorno dei cubi di piccole pietre raccolte entro una rete metallica hanno fornito i cento posti riservati al pubblico. A sua volta il protagonista Esteban Montelo si è mosso liberamente in tutti gli spazi disponibili fra gli spettatori, che hanno finito per essere direttamente coinvolti nella vicenda, favoriti anche grazie dalle raffinate e delicate variazioni cromatiche delle luci disegnate da Franco Ferrari.
Henze, uno dei grandi maestri del Novecento capace di piegare tutti i generi musicali al suo particolare linguaggio musicale carico di valenze rivoluzionarie, ha composto uno spartito molto complesso ben interpretato dal maestro Danilo Belardinelli e dai tre esecutori sottoposti ad un vero e proprio tour de force: si pensi che il flautista Andrea Oliva, oltre a suonare cinque diversi strumenti (flauto, flauto piccolo, alto, basso e ryuteki giapponese) ha dovuto interpretare brani con l'organetto, l'armonica a bocca, il fischietto e alcuni strumenti a percussione; il chitarrista Gianluca Gentili ha suonato anche il tamburo e la marimbula cubana; infine il percussionista Fausto Bombardieri si è trovato alle prese con decina di strumenti a percussione tutti determinanti ai fini dell'esecuzione. Una parte di primo piano è stata logicamente riservata al baritono statunitense Zelotes Edmund Toliver, dotato di grande vocalità e di notevoli capacità interpretative, il quale nei panni dell'ex – schiavo Esteban ha parlato, cantato, riso, gridato con tutta la sua estensione vocale, arrivando fino al falsetto.
Il grande poeta tedesco Hans Magnus Enzensberger ha tratto dal volume di Barret un libretto di rara efficacia e liricità , suddiviso in quindici quadri, dove si parla del mondo della schiavitù, della voglia che Esteban aveva fin da bambino di diventare un cimarron (un fuggiasco), della durezza condizione dello schiavo costretto a conoscere la gogna e la frusta di cuoi dei sorveglianti. Finalmente arriva il momento della fuga e il rifugio nella foresta dove ogni albero è grande come un dio ed è capace di darti tutto quello che serve per vivere, perchè un cimarron deve contare solo su se stesso e vive in un mondo popolato solo dagli spiriti. Poi arriva la notizia che gli schiavi sono liberi, ma nelle piantagioni nulla è cambiato, la violenza dei padroni e dei sorveglianti è rimasta la stessa. L'unica cosa positiva di questa falsa libertà sono le donne e lo spettacolo meraviglioso delle macchine che il progresso ha portato nelle raffinerie dello zucchero, anche se esse hanno portato anche molto odio e ineguaglianza senza aiutare chi sopportare la dura fatica dei campi. Di fronte all'egoismo e all'avidità dei preti, l'ex – schiavo ricorda che nei cubani tutte le religioni si sono mescolate e che chi crede, bisogna lasciarlo in pace. Perchè quel che conta è la tolleranza. Senza, la gente non può pensare nè vivere . Ora per le strade si sente gridare Viva Cuba libre! e si avverte il fascino della ribellione, ma presto si scopre che la guerra rovina la fiducia fra le persone. I tuoi fratelli ti muoiono accanto e non puoi far nulla per loro , tuttavia i neri hanno sentito il dovere di battersi perchè non volevano più sopportare le catene e la miseria. Così anche Estaban partecipa alla grande battaglia nella pianura di Mal Tiempo, dove i neri si battono contro gli spagnoli con i soli coltelli. Finalmente la guerra finisce ed arriva la vittoria, ma arrivano anche nuovi guai, perchè i i padroni spagnoli sono sostituiti dagli yankees e dai ricchi cubani. Esteban non crede a chi gli dice Negro, caro amico, qui diventerai ricco! e ritorna con le tasche vuote nei campi di zucchero, poichè la cosa migliore che c'è, è quando la gente sono come fratelli fra di loro. In città non succede spesso. In città ci sono troppi ricchi. I ricchi credono di essere i padroni del mondo e non danno una mano a nessuno . Quando viene meno la gentilezza e gli uomini sono nemici fra loro, allora conviene vivere da solo, anche se questo non significa rinunciare a battersi per la libertà : nelle lotte che verranno ci sarò dice l'ex – schiavo impugnando il vecchio machete.
Henze ha costruito uno spartito strettamente legato, direi fuso, alla narrazione: così nel quadro n. 4 (La fuga) la musica riesce a rappresentare la bagarre dell'evasione con i musicisti che improvvisano su di un tema e il cantante che interpreta sia l'evaso che il sorvegliante; nel n.5 (La foresta) i mormorii del bosco rifuggono da ogni citazione romantica per esprimere la magia amichevole e incantata dei boschi; nel n.9 (Le macchine) si sentono i ticchettii e i fischi della nuova raffineria; nel n.10 (I preti) il flauto e l'armonica citano con ironia il canto liturgico; nel n.12 le percussioni raffigurano la furia del combattimenti corpo a corpo nella battaglia di Mal Tiempo; nel n.13, dedicato alla mala vittoria , si avverte con evidenza il ritmo della rumba; nel n.14 (La gentilezza) la melodia si riveste di lirismo, mentre l'ultimo quadro è dominato dagli echi della musica popolare cubana.
(Alberto Pellegrino)