90 anni di Histoire


Andrea Zepponi

25 Mar 2008 - Commenti classica

L'<i<Histoire du Soldat di Igor Stravinskij fu composta nel 1918 quando, dopo la Rivoluzione Russa e sul finire della Prima Guerra Mondiale, il compositore aveva deciso di stabilirsi in Svizzera. In aperta polemica verso la situazione bellica, (Stravinskij era stato privato in patria delle sue terre e non riceveva più i diritti d'autore) la storia del soldato gli venne proposta dall'amico poeta Charles Ferdinand Ramuz il quale aveva in mente di porre in musica una storia da leggere, recitare e danzare, qualcosa però che fosse semplice da allestire, una sorta di teatrino ambulante da poter realizzare nei vari paesini della Svizzera. Il ciclo di racconti di Alexander Afanas'ev che si ispiravano al periodo dell'arruolamento forzato per le guerre russo-turche sotto lo zar Nicola I, era già noto a Stravinskij; le avventure del soldato disertore e il suo patto con il diavolo furono scelti come argomento per un testo teatrale nuovo nel suo genere e costruito con estrema economia di mezzi dove figurano solo quattro personaggi con compiti scenici diversi: il Soldato e il Diavolo recitano, la Principessa danza e il Lettore racconta la storia e commenta l'azione. Un soldato, sulla via del ritorno a casa per una breve licenza, riposa suonando un violino, suo unico bene. Lo interrompe, travestito, il diavolo, il quale in cambio dello strumento gli offre un libro magico capace di arricchire chi lo possiede. Il soldato accetta, ma presto si accorge che con il baratto, anche se in pochi anni è diventato potente e ricchissimo, ha perduto tutti gli affetti più cari. Allora il soldato distrugge il libro rompendo l'incantesimo, ma il diavolo, cambiando continuamente aspetto, gli si accompagna finchè i due si ritrovano in un paese dove la figlia del re langue malata: chi la guarirà potrà averla in sposa. Il soldato comprende che per avere la giovane deve ricorrere al suono incantato del suo violino e per riottenerlo spinge il diavolo a metterlo in gioco durante una partita a carte. Nel corso della partita il soldato capisce che battere il diavolo significa perdere ciò che rappresenta il suo potere, cioè tutta la sua sterile ricchezza, e riesce così a tornare in possesso del suo violino, al cui suono la principessa guarisce. Il diavolo, scornato, abbandona il campo non senza aver prima diffidato i due sposi dal lasciare il loro piccolo regno. Quando infatti la principessa persuade il soldato a mostrarle il villaggio natio, essi ritrovano ad attenderli il diavolo che ha ripreso il violino e al povero soldato, ormai privo di ogni volontà , non rimane che seguire il suo infernale padrone. Come si può dedurre dalla trama, la storia conserva, nel suo tessuto fiabesco, il riferimento al mito di Faust ed è dominata da un generale pessimismo sull'uomo che non può disporre del proprio destino.
L'edizione andata in scena al Teatro Sanzio di Urbino il 17 febbraio scorso aveva Augusto Spadoni nel ruolo del Lettore, Simone Orciari in quello del Soldato, Costanza De Sanctis nella Principessa e Noris Borgogelli nella duplice veste del Diavolo e di regista della rappresentazione. Il testo adottato era la bella e intelligente traduzione della docente di Arte Scenica del Conservatorio Rossini di Pesaro, la compianta Lorenza Mitra Sacchetti.
Fantasioso, estroso, profondo conoscitore dello spettacolo, Borgogelli ha dato ai personaggi l'anima popolare sottesa all'immaginario fiabesco, senza perdere di vista la complessità della macchina scenica e le sue valenze attualizzanti: a nulla di naà f rimandava la scenografia della Quatermass X Pesaro realizzata con una suggestiva, struttura a strati dipinti con soggetti allusivi, a tratti inquietanti e sovrapposti in modo da essere rimossi dagli attori durante il cambio del luogo d'azione, anzi l'abilità trasformistica di cui Borgogelli vestiva le scene manteneva un che di realismo tingendo di verosimiglianza l'atmosfera fiabesca dello spettacolo; già valente violista nella sua carriera artistica, Noris Borgogelli ha avuto buon gioco nel trarre suoni davvero indiavolati dal violino del soldato e poi l'attenzione del regista ai minimi particolari emergeva da elementi della scena come il baule da cui egli usciva all'improvviso nei diversi travestimenti del diavolo, la ricerca delle inflessioni vocali per diversificare sensibilmente le diverse forme del Tentatore e, non ultime e non sole, le coreografie della scena del soldato e della principessa con quel tanto di irrinunciabile minimalismo senza però mancare di grande suggestione evocativa. Anche i costumi di Leonardo Malagrida non hanno trascurato particolari, dalla gavetta del soldato alla sua divisa d'epoca '15 – '18, dalle fogge del vestiario diabolico per poi culminare con la demonofania finale in cui la maschera demoniaca era tale da far davvero spaventare i bambini, ma nello stesso tempo la giustezza e la misura dei passi di danza calibrati sui tre attori, Orciari Soldato, la De Sanctis, affascinate e procace Principessa in guepière come la volevano le prime rappresentazioni dell'opera e Borgogelli Diavolo, facevano rientrare il senso della pièce nell'atmosfera fiabesca in cui il momento euforico e disforico hanno lo stesso magico equilibrio.
Non ultimi nella resa del capolavoro sono stati Bruno Madonna come maestro collaboratore e Primo Bonifazi come collaboratore tecnico.
Al lato sinistro della scena due file di sedie in stile liberty con leggii illuminati da lampade di foggia retro erano le postazioni dei Solisti dell'Orchestra Sinfonica G. Rossini alla cui direzione era il M David Crescenzi, i maestri: Antonio Bigonzi al violino, Jean Gambini contrabbasso, Vanessa Scarano al clarinetto, Luca Bonci al fagotto, Luca Cognini alla tromba, Roberto Landi al trombone e Ivan Gambini alle percussioni.
A questi eccellenti artisti della musica è stata affidata la partitura stravinskijana con il suo gruppo strumentale comprendente i registri e i timbri più rappresentativi delle diverse famiglie; ad esempio le percussioni, affidate a un solo esecutore, sono costituite da otto strumenti e richiedono un impegno esecutivo davvero virtuosistico. La scrittura musicale dell'autore, che proveniva dalla grande avventura della Sagra della primavera del 1913, è coerente con la linea inaugurata con essa: essenzialità e brevità di tratti, grande contenimento degli organici strumentali, adozione di un andamento contrappuntistico prevalentemente orizzontale che, nel libero gioco delle parti non sembra preoccuparsi degli incontri armonici verticali, dagli esiti spesso aspramente dissonanti. Grande risalto alla funzione descrittiva dei singoli strumenti che vengono impiegati in termini solistici relativamente alle diverse scene; la scelta di collocare l'orchestra sul palcoscenico, a piena vista del pubblico è dell'autore che pensava di favorire la comprensione e la partecipazione degli spettatori inaugurando così il Novecento teatrale con la sua indomita esigenza di interattività tra attore e spettatore La piccola tavolozza strumentale dell'Histoire rivela profeticamente alcuni passi di tutto lo sviluppo musicale a venire: l'eterogeneità cosmopolita delle fonti formali della suite orchestrale: dal Tango argentino, al Ragtime nordamericano (novità allora assoluta per il vecchio continente), alle fanfare svizzere, al Pasodoble spagnolo, al Valzer viennese; il carattere politonale di molti passaggi anche se inquadrati in un assetto ancora collocabile nell'ambito delle due modalità maggiore e minore; il senso frastagliato e segmentato delle frasi musicali con ampio uso di prolungamenti ed elisioni al fine di spezzare, seppur presupponendola, la simmetria di tipo classico; l'avvento infine del jazz che, come ebbe a dire più tardi lo stesso Stravinskij, esercitò una suggestione particolare sul suo immaginario ritmico-timbrico: La mia conoscenza del jazz – scrive il compositore – derivò essenzialmente dalle copie delle partiture che ebbi modo di conoscere e, poichè non avevo mai sentito musica di quel genere, mi appropriai del suo ritmo non come lo si sente suonare, ma come lo si scrive. Io potevo immaginare il sound del jazz, o almeno così mi piaceva immaginare Il jazz introdusse comunque un suono interamente nuovo nella mia musica e l'Histoire segna la mia rottura definitiva con la scuola orchestrale russa in cui ero stato educato. L'Histoire du Soldat quindi apre il periodo comunemente definito neoclassico, dove lo stile condensato e la scrittura su piccola scala che vede pochi strumenti trattati in maniera superba, fanno di quest'opera una delle più belle creazioni di quello che è sicuramente il compositore più rappresentativo del Novecento. Dal canto suo la bella messa in scena ed esecuzione di Urbino rappresenta, con la sua fedeltà allo spirito originario dell'opera, un revival esemplare di un capolavoro che dovrebbe trovare più accoglienza presso le stagioni teatrali magari seguendo la flessibile ed estrosa versione di Noris Borgogelli.
(Andrea Zepponi)


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *