Biografia della pittrice Nori (Eleonora) De’ Nobili
di Roberta Rocchetti
9 Apr 2018 - Arti Visive
Sotto chissà quale bizzarra, crudele e al contempo creativa stella, Il 17 dicembre 1902 viene alla luce a Pesaro dall’unione matrimoniale di Carlo De’ Nobili e Luisa Augusti Castracani, la piccola Eleonora. Che per tutti sarà sempre e solo Nori.
La bambina sembra avere da subito un destino tracciato nel senso più positivo del termine, rampolla di una famiglia nobile e benestante che possiede patrimoni e cultura, cardinali e condottieri nell’albero genealogico, inizia la sua vita come quella delle principesse delle fiabe.
Il nucleo familiare si allargherà quando vi si aggiungeranno la nascita di una sorella, Bice, nata tre anni dopo Nori e di un fratello Alberto, nato nel 1909. Un altro fratello nasce e muore quasi subito senza possibilità di lasciare un segno nel cammino del mondo, ma lo lascia comunque nell’animo ipersensibile di Nori, dal momento che forse è lui il piccolo marinaretto perso nell’universo metafisico di un quadro dipinto molti anni dopo.
Il padre ufficiale di artiglieria è poco presente nella vita quotidiana della famiglia ma Nori, e gli altri figli della coppia passano comunque un’infanzia serena. Dopo i primi anni a Pesaro la famiglia si trasferisce a Viareggio, poi durante la prima guerra mondiale ritorna nelle Marche a Fano, ma trascorre le vacanze in quella che è una delle dimore di famiglia e dove i discendenti vivono tutt’ora, il bellissimo Palazzo Castracani Augusti, da tutti chiamato suggestivamente Villa Centofinestre in una località nell’immediato entroterra di Senigallia.
In questo periodo Nori studia musica, le lingue straniere e disegno, per quest’ultimo prova un particolare interesse e comincia a dipingere.
Dopo qualche tempo, con il delinearsi della personalità comincia anche a mostrarsi il primo accenno di un’indole incapace di gestirsi a livello emotivo, una prima minaccia di suicidarsi dopo una lite in famiglia ne è una dimostrazione, gli episodi che seguiranno evidenzieranno che non si tratta di un capriccio esternato da un temperamento melodrammatico, ma qualcosa di più. Sono di questi anni i primi quadri che evidenziano il desiderio di spaziare tra stili diversi.
Il genio eclettico di Nori infatti, non è da ascrivere all’incapacità di creare un tratto definito e proprio, quanto a quel germe di poliformismo e trasformismo esploso e gridato negli anni successivi, nei quali nemmeno la calligrafia rimaneva uguale a sé stessa da un carteggio all’altro.
Il dramma, ma anche l’esuberante creatività generati da una personalità frammentata, o di più personalità che già lottano per il possesso dello stesso corpo.
Di questi anni, gli ultimi nei quali le luci sono più delle ombre, rimane il bellissimo ritratto del fratello Alberto con la Villa Centofinestre sullo sfondo, tra surrealismo e futurismo.
Nel 1920 a seguito di un trasferimento del padre entra nel collegio romano “Stella Viae” dove si perfeziona ulteriormente negli studi accademici. Probabilmente già in questo periodo nasce l’incomprensione che risulterà fatale tra Nori e la famiglia, lei pensa di studiare per poter mettere a frutto i suoi studi per una futura realizzazione personale, i genitori ma soprattutto il padre, pensano ad un corredo culturale da presentare come dote per una futura, tranquilla donna di buona famiglia senza grilli per la testa.
Nel 1924 i De Nobili arrivano a Firenze e da questo momento il destino di questa ragazza bella e dotata comincerà a srotolare velocemente il suo corso verso un lungo epilogo fatto di dolore e fuga nel sogno.
A Firenze trova tutto ciò che cerca, fermento culturale, vita, spazio, frequenta lo studio del macchiaiolo livornese Ludovico Tommasi, seguace di Silvestro Lega.
Dipinge allora Firenze assorbendo l’influenza del Tommasi, i due quadri “Chiesa della Tosse” e “Casa sull’Arno” e i ritratti della sorella Bice molto vicini per stile alla scuola toscana ne sono un esempio.
In questo periodo si aprono per lei le porte di contatti con le maggiori correnti culturali del tempo come quelle del movimento artistico “Novecento” e del gruppo “Strapaese”, conosce personaggi importanti nel mondo della critica d’arte che l’aiuteranno a cominciare a farsi strada in quell’ambito, come Aniceto del Massa.
Personaggio magnetico, Del Massa si occupa d’arte ma anche di esoterismo e di politica, aderirà al fascismo e negli anni seguenti diverrà dirigente del controspionaggio della Repubblica Sociale Italiana, dirigerà per anni la pagina culturale del Secolo D’Italia e continuerà i suoi studi spirituali ed esoterici fino alla morte avvenuta nel 1975.
Nori inizia con lui un rapporto decisamente turbolento e le sue instabilità si aggravano nel tentativo di gestire un ménage che la vede soccombere e che contribuisce a destrutturare la sua psiche di donna fragile come vetro, tenta di nuovo il suicidio che le viene impedito dal fratello Alberto.
I familiari consci del suo stato emotivo, o forse chissà, anche perché leggono in quello un tratto caratteriale indocile, richiamano Nori a quelli che pensano debbano essere i doveri di una donna del tempo, frenano i suoi desideri che ritengono non essere realistici e cominciano ad ostacolare ogni pericoloso accenno di ribellione da parte dell’artista che vede quindi sgretolarsi definitivamente il proprio futuro così come l’aveva immaginato.
Qualcosa di ancora indefinito prende possesso della sua mente aprendo la strada a quella che verrà in seguito diagnosticata come schizofrenia, che comincia a tormentarla con sempre più frequenti richieste di esilio mentale dal quotidiano.
La morte improvvisa nel 1933 a causa di una broncopolmonite dell’amatissimo Alberto che la coglie in un periodo già di grande crisi personale e le condizioni di salute della madre che cominciano a declinare smantellano ciò che rimane del suo equilibrio psichico e Nori decide definitivamente che la realtà non fa più per lei.
A partire dal 1935 la famiglia cerca di farla curare in varie cliniche in giro per l’Italia, entra infine nella clinica Villa Igea di Modena, dopo aver progressivamente interrotto ogni rapporto affettivo e di dialogo dapprima con sua sorella, poi con sua madre, alla notizia della morte della quale qualche anno dopo non darà cenno di reazione alcuna, ed infine con suo padre.
Da Villa Igea uscirà solo alla propria morte 33 anni più tardi.
Sembra una fine, quella dell’ingresso in manicomio, ed invece è un inizio, per quanto tragico e pagato ad un prezzo indicibile. Nori comincia dopo l’ingresso in clinica il suo più intenso percorso artistico.
In una indispensabile distorsione della realtà l’artista diventa protagonista di una vita parallela nella quale tutte le donne presenti nel suo animo hanno un quarto d’ora di notorietà.
Nel contesto onirico, che tenta a volte di esprimere anche qualcosa di giocoso, ma che non riesce mai a liberarsi della inquietante nebbia che lo permea, trovano spazio i personaggi che popolano sia l’immaginario che la realtà manicomiale di Nori. Clown, zingari, infermiere, compagni di degenza, giocatori di carte, musicisti, maschere, bambole e gatti. Il trait d’union è però l’autoritratto.
L’artista vuole tenersi informata sulle correnti artistiche che si susseguiranno nei decenni che passerà reclusa, sulle mode. L’agiatezza economica le permette di avere una stanza tutta per sé, rifornimenti continui di colori, di ritrarsi con abiti di ottimo taglio e in linea con le tendenze del tempo, e di farsi arrivare puntualmente riviste per tenersi aggiornata sulle evoluzioni culturali. Si ritrae con unghie perfettamente curate e bocca vermiglia, opere nelle quali interpreta ora una femme fatale, ora una maschera della commedia dell’arte o una figura
tragica e spezzata nell’anima. Uno degli autoritratti più belli e toccanti la vede in vestaglia, lo sguardo dolorosamente brillante e vivo, avvicinandosi si vedono, inequivocabili, le lacrime in bilico sul ciglio e quel pianto che non è mai potuto sgorgare trafigge chiunque si trovi a guardarlo.
Le sue pennellate ci rammentano ora Chagall, ora Kokoschka, ora Kirchner.
Nori è sostanzialmente teatro di sé stessa, attraverso i dipinti fatti sorgere da qualunque materiale, cartone, pelle, carta, stagnola, carte di cioccolatini e scatole di medicinali, mette in scena tutta la frustrazione verso la vita che le imprigiona il corpo e la mente in un mondo vuoto, dove le altre figure non arrivano mai a separarla dalla propria solitudine.
Intanto suona anche il piano, scrive poesie. I dipinti sussurrano sempre qualcosa che scomoda l’anima, che obbliga ad un viaggio nel subconscio e che scardina tutto
ciò che vi poniamo sopra per non dover guardare l’abisso che cela, il quadro della sirena che grida il suo stupore e la sua angoscia in eterno ci trattiene ad osservarla e vorremmo quasi soccorrerla. Proviamo profonda empatia davanti all’ultimo dipinto, nel quale il suo viso dissolve in una macchia scura che si lascia la vita alle spalle.
Negli ultimi anni in alcune sue opere si era riprodotta senza più un volto, annientata dalla clausura e dalla spersonalizzazione imposta da terapie che allora tendevano più ad azzerare la volontà che altro e che alla fine stavano avendo la meglio.
Eppure Nori la tenevano in considerazione alla clinica, le volevano bene, quando uno dei suoi gatti ritratti decine di volte moriva, lei pretendeva che tutti, personale medico e pazienti, partecipassero al suo funerale e loro obbedivano.
A Villa Igea c’è ancora una zona nella quale parte dei suoi quadri sono esposti.
Nel 1966 il destino le mette di fronte l’ultima prova, la malattia che la porterà alla morte, ma che Nori vive probabilmente come una liberazione.
In uno degli ultimi quadri infatti ritrae sé stessa che vola libera, il titolo è “L’anima di Nori che sale in cielo” è dipinto su una lastra radiografica, forse la sua, quella dove era scritto che la sua esperienza terrena stava giungendo alla fine.
Muore il 2 giugno 1968, per ironia estrema della sorte nell’anno in cui le donne richiedono a gran voce, ed ottengono, quei diritti civili e realizzano quei cambiamenti culturali che le avrebbero permesso un ben diverso percorso esistenziale, lasciando che quelle opere che mai ha esposto in vita, parlassero a tutti di una donna senza voce.
I dipinti e i disegni vengono ereditati dalla sorella Bice che alla sua morte li donerà ai due comuni dove visse negli ultimi anni.
Il Museo Nori De Nobili si trova all’interno del Villino Romualdo a Ripe di Trecastelli (AN). Oltre alla mostra permanente con le sue opere più significative, nello stesso sito è presente anche un centro studi sull’arte al femminile che ha ospitato negli anni diverse mostre,
fotografiche e non, tutte di grande interesse culturale, molte con Nori al centro della tematica. Altre sue opere, in numero minore, sono visitabili alla Civica Raccolta d’Arte Claudio Ridolfi di Corinaldo (AN).
Palazzo Castracani Augusti o Villa Centofinestre non è visitabile essendo proprietà privata, ma se da Senigallia andate verso Corinaldo lo vedrete svettare in zona Brugnetto di Ripe. Altezzoso, solenne e dominante la vallata che controlla con i suoi cento occhi.
E se fisserete meglio lo sguardo forse vedrete una figura che aleggia finalmente libera, tra il magnifico verde che lo circonda.
“Pallida fronte sotto scura chioma, occhi incavati in espression febbrile, torbido sguardo contro il mondo vile, tragica donna che non fu mai doma”
(Nori De Nobili)